martedì 26 maggio 2009

ORMAI E' UNA CLASSICA



Non so esattamente quando un evento che si ripete periodicamente nel tempo si possa definire un classico. Fattosta che dopo quattro appuntamenti in 3 anni l'anomala  gita del GAM qui da noi in laguna  è diventata un punto fisso della sua nutrita programmazione.
Domenica 24 maggio ci aspetta, nella calura umida fuori tempo ma tipica del posto, la laguna nord con alcune delle sue isole piu' significative.
Dopo averci prelevato davanti al piazzale della ferrovia la barca ci porta fuori dalla città verso l'isola che piuù di ogni altra e' testimone dell'alba di Venezia: Torcello - Terra e Cielo.
Un viaggio in barca ha sempre un suo fascino, io non mi sono ancora abituato ed ogni volta è una bella sensazione. Questo in particolare, in poco piu' di un'ora, ci fa lasciare alle spalle il turismo di massa, vociante e scontato, e ci immerge nel silenzio della laguna, lontani dalla città. 
Il silenzio e la pace, il senso di lontananza e di quiete saranno elementi che caraterizzano buona parte della giornata pur nel contenuto frastuono della presenza turistica.
A Torcello si tocca con piede quelle che furono le prime terre emerse, anche se parzialmente, abitate dalle genti venete che vivevano a ridosso della laguna. Qui vi trovarono rifugio quando le invasioni barbariche, al tramonto dell'Impero romano, spingevano i residenti a trovare riparo altrove. Dopo che Unni, Vandali, Ostrogoti se ne erano andati si ritornava alla vita di sempre, sulla terra di sempre: Altino e Concordia soprattutto. Fino all'arrivo dei longobardi che invasero l'entroterra per rimanervi in modo stanziale e quindi i veneti non poterono piu' ritornare alle loro case. Allora trasferirono a Torcello e isole limitrofe sedi civili ed ecclesiastiche riproponendo in laguna gli ordini sociali che già conoscevano bene.  Torcello divenne un grandissimo polo commerciale che necessitava addirittura di tre porti per poter esaurire tutte le attività navali. Cosa da non credere  l'isola vantava circa 300.000 abitanti, oggi ne conta 16 ma cio' che è rimasto è degno testimone di quello splendore, su tutto la Basilica di Santa Maria Assunta e i suoi mosaici.
Nell'attesa del nostro turno di visita, salgo, con pochi altri, al campanile: la vista è mozzafiato. Si riesce a dominare tutto e, dall'alto, si scoprono edifici meravigliosi, seconde case, giardini ricamati ed impreziositi da chi ama questa terra e si aggrappa ad essa per non farla morire di abbandono. 
Gia' una volta questa fragili terre, parzialmente emerse, ed in continua balia dell'andamento delle maree furono abbandonate. Accadde quando Venezia si impose come centro commerciale e politico, decentrando il fulcro di questa nuova società. L'aria malsana dovuta all'impaludamento dell'area torcelliana ha fatto il resto. 
Ci attende la barca per ripartire. Una giornata così, scopriremo poi, passa comunque in fretta. Abbiamo tempi ben scanditi. Il caldo inizia a farsi sentire in modo pesante gli spostamenti in barca sono lunghi ma passano anche per chi, in qualche modo, ci è abituato perchè, ripeto, mantengono il loro fascino di anormalità.
Seconda tappa: Burano, l'isola dei merletti e non solo. Anche degli "essi" e dei "buranei", per esempio. Dolci carichi di burro e vaniglia che venivano conservati in mezzo alla biancheria per profumarla di buono. I merletti dicevo; si racconta che avventurosi navigatori di Burano resistettero, per amore della promessa sposa, all'attrazione delle sirene, come degli Ulisse lagunari, e il loro capitano ebbe in regalo un pizzo nato dalla schiuma del mare. Una volta tornato in isola e donato il merletto alla morosa, questa fu così invidiata dalle altre ragazze che iniziarono subito cercare di replicare tale meraviglia lavorando di uncino.
Burano non è solo questo, è anche colori, case semplici di chi vive di pesca, tranquillità, la luce che troviamo esalta al massimo la tavolozza dei colori di ogni parete che incontriamo. E' bello perdersi, girovagando e vagabondando ed è tutto quello che facciamo in attesa di ripartire per San Francesco del Deserto.
Ho scoperto l'isola del Deserto otto anni fa, in occasione di un ritiro di due giorni che i frati permettono a gruppi che desiderano trascorrere un fine settimana un po' fuori dai canoni e cioè con il tempo scandito dai loro ritmi di preghiera, veglia e , vi assicuro, gioia. 
I frati abitanti sono meno di una decina e la loro ospitalità è proverbiale. Con gioia e competenza ci accompagnano a vedere l'isola ed i suoi edifici. La chiesa ed il chiostro e poi il giardino perimetrato da una bellissima cipressaia sulla quale si aprono scorci infiniti sulla laguna. Si narra che qui si fermo' il patrono d'Italia, il poverello d'Assisi, di ritorno da un viaggio in Terra Santa e che qui abbia cercato riparo e silenzio per poter pregare, zittendo a tale scopo anche il coro di uccelli che vi dimoravano. Dopo la canonizzazione i frati sono sempre stati presenti nell'isola tranne che durante il periodo della soppressione napolenica. Con Campoformio già l'Austria cedette i terreni al Patriarcato e questi lo restituì all'ordine dei minori. 
Torniamo in barca, e questa volta sarà l'ultima. Fa molto piu' caldo di prima e ci aspetta oltre un'ora di navigazione, la stanchezza si fa sentire. Qualcuno gioca, c'è chi chiacchiera e chi non sa resistere al peso delle palbebre che non riescono a vincere la forza di gravità e si chiudono.
Rimangono il piacere di una giornata ricca di emozioni, di storia, di scoperte e che ancora una volta è un successo per questo gruppo che ne inanella uno dietro l'altro e che di anno in anno vede confermare e superare il numero dei propri iscritti.
Si parla già di un bis...vedremo il come ed il quando, intanto, però, sicuramente ci si rivede l'anno prossimo senno' che classica sarebbe?



2 commenti:

corzen ha detto...

sempre un piacere leggerti...

Simone ha detto...

grazie mille!