giovedì 15 gennaio 2009

Punto di vista

Nella sua raccolta di poesie più famosa,  L'Antologia di Spoon River,  Edgar Lee Masters fa dire a al defunto Knowlt Hoheimer di essere il primo frutto di una certa battaglia. Il frutto di una battaglia, di una guerra è un corpo morto.  Questo per dire che,  comunque vada, le vicende di questi giorni nella Striscia di Gaza, produranno solo morte e dolore per l'ennesima volta.
Addentrarsi in un argomento come quello del conflitto israelo-palestinese presuppone molta attenzione e molti distinguo. Ciò che succede a Gaza in questi giorni, a mio avviso, non è altro che l'ultima ripetizione di quanto già visto.
La rabbia, l'odio, le forze militari messe in campo da entrambe le parti non porteranno a nessun risultato concreto sulla strada della pace ma produranno altro odio ed altro terrore.
Vivere da 60 anni in campi profughi nei quali vige l'embargo, con un livello povertà spaventoso, con una concentrazione demografica tra le più alte del mondo e con un Stato Israeliano come vicino non deve essere una condizione favorevole a distendere i nervi. I bambini sono educati all'odio ed al terrorismo, vivono nella rabbia quotidiana.
Dall'altra parte la popolazione israeliana vive con la paura di andare a fare a la spesa, con l'angoscia di non veder tornare a casa un proprio caro perchè sulla sua strada incontra il carogna di un kamikaze.
Isarele è uno Stato organizzato, militarizzato fin negli adolescenti che dentro lo zaino, assieme ai libri, portano i fucili (visti di persona). E' uno Stato occupante ma che ormai c'è e deve essere accettato. Peraltro ha costruito molto, funziona bene e per molti aspetti lo si può considerare anche occidentale a tutti gli effetti.
C'è, a mio avviso, al di là dei rispettivi diritti ad esistere da una parte e di una terra dall'altra, una evidente sproporzione nelle forze messe in campo. 
L'esercito organizzato ed efficente di Israele, quando vuole mostrare i muscoli lo fa molto bene e purtroppo, lo sappiamo. A farne le spese sono soprattutto, da una parte e dall'altra, i civili innocenti ed i bambini cui viene maciullata una gamba nella migliore delle ipotesi.
Non voglio volutamente addentrarmi in discorsi che sarebbero infiniti in relazione a tutta la storia di questo irrisolto conflitto, dei veri interessi che ci sono dietro, del non rispetto degli accordi presi e delle risoluzioni ONU rimaste inascoltate, del problema dei profughi, del problema della sicurezza degli ebrei, del fondamentalismo e del fanatismo di Hamas, per non dimenticare, infine, le promesse occidentali non mantenute.
Esiste un muro contro muro insomontabile, tra palestinesi ed israeliani, odio contro odio nella più assoluta sordità e cecità. Le due parti sono talmente, troppo, coinvolte che non riescono più a dialogare.
Cosa possiamo fare noi? Questo mi voglio chiedere in queste righe.
Se due fazioni sono accecate dall'odio, come possiamo portare loro aiuto, noi che viviamo, pur partecipando, fuori? Il tema è di quelli che spacca di più, tema per il quale si diventa tifosi vivaci, anche fin troppo.
Dovremmo, per iniziare, smettere di essere tifosi ma aiutare la ragione. Oppure non essere più tifosi di palestinesi o di israeliani, ma della pace. Mi sembra già un buon inizio.
Sentivo una ragazza che suggeriva questo: perchè non provare a scambiare le famiglie? non sarebbe una cattiva idea quella di incrociare le vita una giovane palestinese ed un giovane israeliano mandandoli a vivere per un po' nella famiglia del "nemico". Credo che capirebbero che il dolore è dolore comunque, che i morti sono morti ovunque, e che la guerra è guerra anche per chi la fa e non solo per chi la subisce.
Investire sui giovani, sui bambini, sull'educazione. Questo possiamo aiutare a fare, anzichè vendere armi che ammazzano i bambini su cui si potrebbe veramente costruire la pace e la tolleranza, l'accettazione ed il rispetto.
L'Europa, l'occidente, non sta facendo nulla. Stiamo guardando, chi si ammazza e andiamo in piazza a fare i tifosi. Questo siamo capaci di fare, invece credo che noi possiamo essere in una posizione in grado di aiutare il dialogo.
Inventiamo qualcosa, protestiamo non contro Israele e Palestina, ma cotro una politica amorfa, indifferente ed inerme a tutto ciò che non rapprensenta un interesse diretto.
Di questo ci si deve indignare, secondo me. Lavoriamo per aiutare il dialogo, spingiamo per mandare progetti di tolleranza e non navi cariche di armi, aiutiamo i campi profughi a diventare città, facciamoci carico dell'educazione dei bambini, figli di genitori in conflitto, unica e vera risorsa per una pace futura e stabile.
Forse gli interlocutori non sono ciò che c'è di meglio ma sono gli unici che abbiamo; Israele ed Hamas sono i soli in grado di alzare muri oppure di abbatterli. Noi possiamo aiutarli a scegliere in un senso o spingerli, abbandonandoli, nell'altro. Basta saper cambiare prospettiva.

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